Le forniture alimentari sono le più importanti per quello che riguarda bar, ristoranti, hotel, ma anche uffici ed edifici pubblici che prevedano una mensa. Due imperativi su tutti: freschezza e genuinità, con un occhio al prezzo.

Oggi molte aziende prevedono servizi di consegna a domicilio e in giornata per avere pronti da servire in tavola i migliori piatti della tradizione italiana a un costo contenuto, e i progressi nella conservazione a freddo permettono di cimentarsi in piatti ricercati con materie prime un tempo molto difficili da trovare.

Vediamo più nel dettaglio le caratteristiche salienti delle varie categorie merceologiche legate al settore alimentare.

Frutta e verdure

Le forniture alimentari ortofrutticole sono cruciali perché la freschezza dei prodotti deve essere garantita al momento dell’arrivo presso l’acquirente finale, soprattutto quando, nei mesi più caldi, l’afflusso turistico di hotel e ristoranti è più cospicuo e la velocità di deterioramento di frutta e verdura è maggiore.

La fornitura ortofrutticola all’ingrosso non può e non deve mai significare “minore qualità” rispetto al dettaglio. La genuinità dei prodotti offerti ai propri clienti è il primo metro di giudizio per un ristorante, un bar o un albergo, quindi è necessario creare un rapporto di fidelizzazione con un fornitore che sia al tempo stesso affidabile e puntuale. Per prima cosa, cercate un fornitore che dia garanzie sul trasporto in veicoli con celle frigorifere, e con un po’ di ricerche dovreste anche essere in grado di individuarne uno che offre la consegna gratuita direttamente in sede dietro acquisto di un volume minimo di merce.

È essenziale che le categorie merceologiche acquistabili siano numerose, per minimizzare le eventuali spese logistiche e per sfruttare l’affidabilità del proprio interlocutore per le più disparate categorie di frutta e verdura. Bisogna innanzitutto pensare alle forniture di ortaggi: sia da frutto, come zucche e zucchine, e da fiore, come cavolfiori e carciofi, che legumi, le insalate di vario tipo (lattuga, rucola, belga, radicchio, iceberg…), le cipolle, i tuberi, i pomodori, i peperoni, le melanzane… non dimenticate una fornitura regolare anche di aromi e sapori dell’orto, come basilico, maggiorana, origano, prezzemolo, salvia, rosmarino e così via, anche se la soluzione ideale sarebbe poterseli coltivare “in casa”.

Una categoria merceologica che probabilmente incontrerete spesso è quella dei cosiddetti «prodotti della quarta gamma». Così si definiscono, infatti, i prodotti ortofrutticoli già pronti per il consumo, e quindi già lavati, asciugati e tagliati per essere serviti direttamente nel piatto del commensale. Questa notevole comodità ovviamente ha il suo rovescio della medaglia: i prodotti della quarta gamma (soprattutto le insalate) sono infatti molto più cari, anche quattro o cinque volte tanto rispetto agli analoghi da pulire e tagliare, ma possono rappresentare un’opzione più che soddisfacente per venire incontro a una momentanea riduzione del personale o per ridurre i tempi del servizio, o, ancora, per un ordine imprevisto.

Quando si acquista all’ingrosso un prodotto di quarta gamma, è necessario assicurarsi che il processo produttivo segua tutte le tappe fondamentali per fornire frutta e verdura di qualità e senza trattamenti chimici di alcun genere, a parte quelli necessari per la sanificazione: almeno due lavaggi, quindi, con ispezione manuale e mondatura, asciugatura e ulteriore ispezione.

Attenzione che gli agenti acidificanti e antiossidanti che spesso vengono usati per non far scurire la verdura e la frutta non nascondano in realtà delle pecche dei prodotti. I prodotti di «quinta gamma» sono invece quelli già cotti: in genere sono consigliati soprattutto per mense o situazioni dove si privilegia soprattutto la velocità e la quantità di quanto viene servito, malgrado alcuni fornitori riescano a eccellere con specialità che sembrano cucinate in casa (naturalmente al giusto prezzo). Attenzione, però: i prodotti della quinta gamma possono essere ricchi di conservanti, accertatevi quindi della loro genuinità leggendo approfonditamente l’etichetta.

Una categoria a parte nelle forniture ortofrutticole è rappresentata dai prodotti biologici, ideali specialmente per gli agriturismi, nei bar bio e in genere in tutti quegli esercizi dove si fa un vanto della freschezza e della genuinità della frutta e verdura non trattata che viene servita. È bene ricordare che questi esemplari molto spesso non sono altrettanto «belli» quanto quelli prodotti in massa con additivi e magari la maturazione lontano dalla pianta, e inoltre hanno un costo molto superiore; in compenso, le qualità organolettiche sono di qualità decisamente superiore. Accertatevi però che l’azienda fornitrice di prodotti biologici abbia la certificazione ICEA (Istituto Certificazione Etica e Ambientale). Fra i prodotti bio più comuni, ogni tipo di frutta, insalate, melanzane, cavoli.

Soprattutto nelle forniture di biologico accertatevi fin da subito che le quantità minime di ordinazione siano adatte alle vostre necessità e non vi vincolino troppo per il futuro. I ristoranti e i locali atti alla ristorazione che vogliono il risultato in assoluto migliore non si rivolgono tanto alla grande distribuzione ma piuttosto costruiscono un’articolata “rete” di fornitori di fiducia a chilometro zero, naturalmente per i prodotti che possono essere coltivati localmente, e regolano le loro preparazioni in cucina in base alla stagionalità di frutta e verdura: una scelta che può comportare anche notevoli risparmi e che garantisce il massimo livello di caratteristiche organolettiche nei propri piatti. Sarebbe invece da evitare di comprare prodotti ortofrutticoli fuori stagione, di solito con provenienza estera e meno controllata, poco saporiti e molto costosi.

Altre categorie di sicuro interesse nelle forniture ortofrutticole sono quella delle verdure baby, ideali per preparazioni particolarmente scenografiche, per le guarnizioni e per i bambini e la frutta esotica (mango, papaya, lime, ananas e così via). È interessante anche la possibilità di ordinare funghi di vario tipo, soprattutto champignon e porcini ma anche tartufi: anche qui è bene cercare di fornirsi dallo stesso produttore per approfittare delle economie di scala e, magari, ottenere forti sconti su prodotti più costosi.

Il pesce

Pesce fresco

Le forniture relative al pesce sono forse le più delicate di tutte, perché pochi cibi deperiscono così rapidamente e se la freschezza non è massima, oltre a rappresentare un rischio per la salute, si «sente» immediatamente nel piatto. Questo è tanto più vero per quei locali che servono sushi, sashimi o tartare di pesce. Per questo è importantissimo che la catena del freddo, durante la consegna, non venga mai spezzata.

Tra i prodotti che più di frequente vengono consegnati freschi ci sono tutti quelli caratteristici dei nostri mari: cernie, gamberi, mormore, pagelli, orate, ricciole, pesci spada, saraghi, scorfani, spigole. Non ci sono limiti, invece, per il pesce surgelato, visto che ormai la logistica è talmente avanzata, e le procedure di refrigerazione abbastanza sviluppate, da permettere di ridurre al minimo il tempo che passa dal surgelamento del pesce alla tavola. Ma attenzione, il «pesce congelato» non è la stessa cosa del surgelato: per legge, infatti, basta che sia coperto di ghiaccio per evitarne l’ossidazione e solo dopo finisce nelle celle frigorifere, entro 10-70 ore, a differenza delle quattro richieste dal surgelamento del pesce.

Quando si sceglie un fornitore di pesce e prodotti ittici, la prima cosa da fare è sincerarsi della qualità secondo caratteristiche che variano da specie a specie, come il colore, la lucentezza delle scaglie o dell’occhio, la consistenza delle carni. Non basatevi soltanto sul vostro istinto, ma pretendendo le certificazioni europee necessarie e analisi microbiologiche e batteriologiche aggiornate.

Poi è il momento di una bella occhiata alle etichette: per legge, deve essere indicato il mare in cui il pesce è stato pescato, quindi possiamo subito scartare quelli che vengono catturati in zone caratterizzate da un alto tasso di inquinamento. Il mare del Nord e il Baltico, ad esempio, da dove arrivano molte specie come il merluzzo, sono poco indicati per via dell’alta concentrazione di metalli pesanti e agenti inquinanti; molto meglio gli oceani, soprattutto per quei pesce di grossa dimensione che, all’interno di un ambiente non igienico, finiscono con l’assorbire gran parte delle sostanze novice, come tonni o pesce spada. In linea di massima, se l’etichetta non compare nel pacco, anche se è prevista nella descrizione del prodotto, diffidate e rivolgetevi altrove.

A volte è presente soltanto il codice previsto dalla FAO, un numero di due cifre da interpretare così:

  • 21: Atlantico Nord-occidentale
  • 27: Atlantico Nord-orientale
  • 37: Mar Mediterraneo
  • 51 e 57: Oceano Indiano

Discorso a parte per il pesce d’allevamento, che costa di meno di quello selvaggio e del quale possono essere rintracciate con maggior precisione le origini. Si tratta comunque di un pesce più grasso e pesante, vista la sua alimentazione, rispetto a quello di mare aperto. Il pesce d’allevamento rappresenta in Italia ormai il 30% del consumo totale, mentre a livello mondiale ci avviciniamo alla metà: le specie più diffuse sono pesci di pregio come orate, spigole, branzini o trote, cozze e vongole per i molluschi.

Se si vuole acquistare da acquacolture sicuramente sostenibili, è meglio rinunciare al salmone di allevamento, ai gamberi tropicali e il pangasio, pesce poco pregiato ma che ultimamente, per il suo costo ridottissimo, si sta affermando soprattutto nelle mense. Se l’allevamento in acquacultura è intensivo, allora è possibile che il pesce sia stato preventivamente trattato con antibiotici, perché lo stress causato agli esemplari dallo scarso spazio a disposizione ne peggiora la salute.

La carne

La scelta della carne impone un’attenzione ai dettagli molto simile a quella che è necessaria per il pesce. Le carni si dividono in tre famiglie fondamentali: rosse (bovini, pecore, capre, bufali), bianche (bovini giovani come il vitello e animali da cortile) e scure (selvaggina).

Come per il pesce, per decidere un nuovo fornitore di carne è necessaria una visita agli stabilimenti e un esame preventivo della carne qui macellata. La carne di buona qualità è non solo tenera, ma ha il giusto quantitativo di grasso (che aiuta la cottura) e ha un bel colorito rosso/rosato. Non dev’esserci eccessiva umidità e patinatura in superficie, e inoltre il grasso deve essere di un bel colore bianco per valutare la corretta alimentazione dell’animale. Per legge, le etichette devono riportare almeno il nome e l’ndirizzo dello stabilimento, la specie, la categoria, il taglio, la data di scadenza e le modalità di conservazione.

Purtroppo non si tratta di tutte le informazioni di cui si ha bisogno: gli allevamenti intensivi, ad esempio, non solo sono eticamente da condannare ma finiscono anche con l’essere a detrimento della carne stessa, e purtroppo non è possibile accertarlo dall’etichetta; meglio quindi chiedere al fornitore il permesso di visitare lo stabilimento per toccare con mano le condizioni di allevamento a cui sono sottoposti gli esemplari. I fornitori più affidabili di solito includono nelle etichette dei loro tagli anche indicazioni precise sull’animale dal quale la carne è stata ricavata, come l’età dell’esemplare, il sesso, il peso.

Se si hanno dei dubbi sulla qualità della conservazione della carne acquistata, un esame visivo e organolettico può aiutare a chiarire molti dubbi. La carne non deve perdere acqua e il grasso non deve essere giallognolo, a meno che questo non derivi dall’allevamento in pascolo; le parti magre non devono essere troppo scure e ovviamente non dev’esserci cattivo odore, segno della presenza di microbi.

Generalmente, la carne fresca in un frigorifero standard si conserva circa sei o sette giorni per quanto riguarda i tagli interi, tre o quattro per le bistecche, uno o due per carpacci e carne macinata; durata più lunga per le carni cotte, ma è sempre meglio abbattere la temperatura rapidamente prima di riporle in frigo per evitare una perdita delle caratteristiche organolettiche. Nel valutare la freschezza della carne congelata, ricordatevi che ci sono periodi massimi di congelamento a seconda della specie: un anno per i bovini, sei mesi per i suini e tre per il pollame e i volatili.

Particolare attenzione, infine, va riservata ai tagli di carne meno pregiata ma ugualmente gustosa, come gli organi e le frattaglie che diventano importanti soprattutto in ricette della tradizione; può capitare che, essendo pezzi acquistati più raramente, non ci siano gli stessi standard di un filetto o di una tagliata di manzo.

I formaggi

Formaggi

La fornitura dei formaggi è per forza di cose una fornitura “specialistica” e a volumi minori delle precedenti. Questo perché si può fare riferimento a un caseificio il più possibile «completo» per una fornitura costante dei formaggi più comuni, ma vista la straordinaria varietà di gusti e sapori nei prodotti caseari italiani, se si vogliono avere specialità particolari e legate al territorio le strade sono due: o rivolgersi, più che a un produttore, a un distributore specializzato, oppure “rassegnarsi” ad avere molteplici fornitori anche da diverse parti d’Italia, strategia che può rivelarsi vincente soprattutto per i formaggi a lunga stagionatura, che possono essere acquistati in quantità elevate senza timore che deperiscano.

Lo stesso discorso può essere fatto, con le dovute cautele, anche per i migliori formaggi esteri, anche se naturalmente in questo caso si privilegeranno prodotti a lunga o lunghissima conservazione. I formaggi si qualificano a seconda del latte utilizzato per realizzarlo, della pasta del formaggio, della crosta e della stagionatura.

In base alla razza, i formaggi si dividono in vaccini, pecorini, caprini, bufalini e misti, a latte crudo oppure pastorizzato, con diverse gradazioni per quel che riguarda il contenuto di grassi (grassi, semigrassi, leggeri e magri) e la consistenza della pasta (molle, semidura, dura oppure cruda, semicotta o cotta se si valuta la temperatura di lavorazione). Inoltre i formaggi possono essere a pasta erborinata, filata, pressata e fusa, e con crosta fiorita, lavata, freschi o affumicati. Un mosaico articolato e complesso, che testimonia quanto sia difficile fare un discorso generale per i formaggi italiani.

La lista dei formaggi italiani DOP è lunga: in ordine alfabetico, asiago, bitto, bra, caciocavallo ragusano, caciocavallo silano, canestrato pugliese, casciotta d’Urbino, castelmagno, fiore sardo, fontina, formaggio di fossa di sogliano e talamello, formai de mut dell’alta valle Brembana, gorgonzola, grana padano, montasio, monte veronese, mozzarella di bufala, murazzano, nostrano valtrompia, parmigiano reggiano, pecorino di Filiano, pecorino romano, pecorino sardo, pecorino siciliano, pecorino toscano, piave, provolone valpadana, puzzone di Moena, quartirolo lombardo, raschera, ricotta romana, robiola di Roccaverano, salva cremasco, squacquerone di Romagna, stelvio o stilfser, strachitunt, spressa delle giudicarie, taleggio, toma piemontese, Valle d’Aosta fromadzo, Valtellina casera.

Ancora di più i formaggi tradizionali, con vere e proprie “chicche” reperibili soltanto negli alpeggi o nelle fattorie, che vengono scoperte dai ristoratori più attenti e che finiscono col diventare protagonisti dei menu.

Alcune tipologie di formaggio sono molte più diffuse di altre perché ricorrono in una grande varietà di preparazioni. Tra queste c’è ad esempio la mozzarella, formaggio tipico del sud e a pasta filata che è ingrediente fondamentale nella pizza ed è a tutt’oggi uno dei latticini più diffusi nel mondo. Come tutti i latticini, anche per la mozzarella è necessario pretendere la massima freschezza (diffidate ad esempio di forme in cui si stacca con troppa facilità la pellicina esterna o che non emettano la giusta quantità di serio sotto pressione).

Per quanto riguarda la conservazione, i formaggi stagionati possono essere conservati in frigorifero due settimane o anche più, mentre quelli freschi devono essere consumati nel giro di pochi giorni per non perdere le caratteristiche organolettiche: al momento dell’acquisto, valutate sempre le vostre possibilità di stoccaggio dei diversi tipi di formaggio e la data di scadenza. I formaggi stagionati andrebbero conservati al buio, possibilmente in un luogo sotterraneo privo di aperture ma con un buon ricambio d’aria. Ricordate anche che una data di scadenza troppo avanti nel tempo a volte (proprio come nel caso della mozzarella) è sintomo della presenza di additivi e conservanti.

I formaggi sono una categoria merceologica ad alto prezzo in rapporto al peso, e non è infrequente – in caso di prodotti particolarmente pregiati, come il parmigiano reggiano molto stagionato – arrivare a 20-30 euro al chilo. Scegliendo il fornitore di formaggi è necessario accertarsi che, soprattutto per i formaggi «da tavola» non meglio specificati, non siano presenti polifosfati e conservanti.

Gli altri latticini

Oltre ai formaggi che derivano dal latte senza stagionatura, come mozzarella, stracchino o ricotta, fanno parte dei latticini anche il burro, la panna, il mascarpone e lo yogurt.

Il burro è fondamentale soprattutto nelle cucine più «nordiche» e legate a temperature fredde, come quelle di montagna, e nella preparazione dei dolci, mentre per gli altri piatti di solito in Italia si preferisce valorizzare il gusto unico dell’olio d’oliva nostrano; la panna, dopo il grande successo in cucina negli anni Ottanta, è oggi soprattutto relagata in campo dolciario, dove ha un ruolo di primissimo piano; il mascarpone si usa sia per preparazioni dolci che salate (non propriamente «leggere») mentre lo yogurt è importantissimo nelle colazioni del mattino e a fine pasto, soprattutto per i bambini. Va quindi da sé che si tratta di un’altra categoria di forniture alimentari che non può mancare in un ristorante, un bar o un albergo.

Ai latticini si aggiunge, ovviamente, la loro origine, il latte: uno degli alimenti più completi del mondo e irrinunciabile in qualsiasi momento della giornata, consumato da solo al mattino o con il caffè, principe delle preparazioni dolci ma fondamentale anche per quelle salate.

Le forniture di latte e latticini devono avere le massime garanzie di freschezza: proprio per questo di solito si preferisce rifornirsi nella grande distribuzione con le marche che, almeno per il latte, possono garantire pastorizzazione e sterilizzazione. Il “latte crudo” che si può acquistare direttamente dai produttori ha eccellente sapore e proprietà nutritive, ma il suo gusto non è per tutti e i rischi sono maggiori per la salute (oltre ad essere ancora più indigesti verso chi è intollerante al lattosio).

Le qualità organolettiche migliori del latte industriale sono quelle del latte pastorizzato e non quello a lunga conservazione, che rischia di assomigliare ad «acqua sporca» in certe tipologie, laddove il sapore del latte pastorizzato rimane su uno standard ababstanza regolare a prescindere dalla marca.

Per ampie forniture è quindi sempre bene rivolgersi al latte di grandi aziende oppure, spendendo non molto di più, al latte alta qualità, un marchio disciplinato da una legge del 1989: per essere definito Alta Qualità, infatti, il latte fresco pastorizzato deve rispettare una lunga serie di requisiti che riguardano la salute e la selezione delle razze bovine, l’alimentazione, l’igiene, la mungitura, la raccolta, la distribuzione e i vari procedimenti o trattamenti. Assicuratevi sempre di avere un’ampia fornitura di latte ad alta digeribilità per chi è intollerante al lattosio.

Discorsi analoghi valgono per burro, panna, yogurt, ognuno con le sue caratteristiche peculiari. Il burro, ad esempio, ricopre un’importanza fondamentale in quegli esercizi dove si privilegiano le specializzazioni di pasticceria: il più usato è il burro all’82%, anche se il burro anidro o concentrato si sta affermando soprattutto per le sfoglie, i croissant o la cream al burro. Più leggero è delicato è il burro alleggerito o a ridotto tenore di grassi (anche noto come burro al 60%). Lo yogurt deve avere il giusto tenore di fermenti lattici.

Il vino

Vino

È inutile sottolineare quanto sia centrale la scelta di un fornitore adeguato per il vino e, per estensione, gli altri alcolici nazionali. In Italia il vino accompagna sempre i pasti più importanti e la grandissima quantità di etichette può intimorire chi non è esperto e non sa a chi affidarsi.

I vitigni italiani più diffusi sono per i rossi il Nebbiolo, il Sangiovese, il Primitivo, il Montepulciano, l’Aglianico, il Cannonau, il Lambrusco, il Dolcetto, il Brunello, la Bonarda, il Merlot, il Negroamaro, il Nero d’Avola, la Vernaccia, il Pinot, per i bianchi Vermentino, Trebbiano, Sauvignon, Chardonnay, Verdicchio, Moscato, Müllter Thurgau, Fiano, Pignoletto, ma la lista è davvero lunghissima e i vini che si basano su questi vitigni (senza contare quelli non autoctoni) sono centinaia.

Sull’argomento vino si potrebbero scrivere decine di pagine, l’importante è che la carta dei vini abbia la propria importanza all’interno del locale (ovviamente essenziale in un’enoteca) e rappresenti bene sia il luogo o la regione dove ci si trova che l’Italia nella sua interezza, magari con una buona presenza di etichette anche estere.

È importante contattare fornitori che mettano a disposizione consulenti in grado di guidare l’acquirente in base alle proposte gastronomiche del ristorante o del bar, in modo da non ritrovarsi con etichette che non vengono mai scelte per un errore di valutazione del menu e rimangono a inacidirsi in cantina. In ogni caso, in pochi altri prodotti come il vino sarebbe necessaria una lunga operazione di degustazione e tasting delle etichette fino a trovare le scelte giuste per il proprio esercizio, basandosi sì sul parere di un esperto ma senza rinunciare a scegliere i sapori e i profumi che più si apprezzano.

Scegliere soprattutto vini del territorio è una soluzione vincente perché i ricarichi di solito sono più bassi (secondo la logica del chilometro zero) e la vostra cucina si adatterà meglio. Ultimamente sta diffondendosi di nuovo una formula antica, quella del vino sfuso, con ricarichi bassi e caratteristiche tutt’altro che disprezzabili.

Nello scegliere il vino all’ingrosso, bisogna cercare di spuntare un buon prezzo al litro, senza però esagerare. Al di sotto dei 2,5/3 € infatti si possono trovare quasi solo onesti vini da tavola, mentre tra i 3 e i 5 si trovano già bottiglie di discreta qualità.

Assicuratevi che i vini abbiano, se non la denominazione DOC o DOCG, la denominazione IGT, che non è necessariamente inferiore alle precedenti ma può essere rimasta per vari motivi, come la mancata istituzione di una DOC nella zona.

Sarebbe bene anche fornirsi di «mezze bottiglie», un formato che si sta diffondendo per la sua comodità: si tratta di bottiglie da 0,375 litri che risultano molto apprezzate dai clienti perché permettono una spesa minore senza alterare la qualità del vino, e in più vi permettono di applicare ricarichi minori nel caso che venga scelto vino al calice.

La pasta

Alzi la mano chi non associa la cucina italiana alla pasta (oltre naturalmente alla pizza). Protagonista dei primi più celebrati della tradizione dello Stivale, la pasta, come si conviene a un prodotto che ha ormai conquistato l’intero pianeta, in Italia va incontro a un nugolo di diversi formati e lavorazioni.

La fornitura di pasta secca di alta qualità è importante perché una pasta economica ma di bassa qualità risulterà spesso scotta, «liscia», priva di gusto. Innanzitutto bisogna dire che esistono ottime paste anche nella grande distribuzione, ma se si vuole quel qualcosa in più conviene orientarsi sulle paste artigianali, specialmente del sud Italia, in zone vocate proprio per questo prodotto (ad esempio Gragnano o certe zone della Puglia). La pasta artigianale può costare 5-6 euro al chilo e quindi non è adatta per la consumazione di massa, quanto ideale soprattutto per i ristoranti d’elite che vogliono offrire solo il meglio ai propri clienti.

La pasta si divide prima di tutto tra secca, ricavata dalla lavorazione della semola di grano duro, e fresca, realizzata invece con grano tenero e uova. Il nome «fresca» deriva soprattutto dalla sua maggiore morbidezza e umidità, fino al 30% che è il massimo consentito dalla legge per i prodotti industriali. Fanno storia a sé le paste integrali, arricchite con fibre di grano, e le paste senza glutine; una fornitura costante di pasta senza glutine è fondamentale per un ristorante o un hotel, perché la celiachia è un problema che è stato ingiustamente sottovalutato per anni e che oggi necessita delle dovute attenzioni da parte del ristoratore.

Molteplici sono naturalmente i formati di pasta, che si possono grosso modo dividere in pasta lunga (come spaghetti, tagliatelle, tagliolini, pappardelle, bucatini, spaghetti alla chitarra, bavette e così via) e pasta corta (penne, rigatoni, maccheroni, paccheri, ruote, farfalle, fusilli, lumache eccetera), senza dimenticare la pasta per il brodo (anellini e stelline). Infine ci sono le paste ripiene, come tortellini, agnolotti e ravioli, le lasagne e le specialità regionali. Se volete pasta della massima qualità, privilegiate l’essiccatura lenta; quando la pasta è trafilata al bronzo, allora ha una testura molto più rugosa e irregolare del normale e serve per trattenere di più il sugo e il condimento.

Nella scelta di una fornitura per la pasta, è importante tenere da conto il minutaggio per la preparazione: le paste artigianali hanno spesso una cottura molto lenta, ma questo potrebbe non essere in accordo con le vostre esigenze di cucina. Valutate bene, quindi, quale potrebbe essere il giusto mezzo tra qualità e velocità di preparazione, anche perché esistono in commercio paste con cottura lenta che non sono di qualità superiore ma semplicemente hanno avuto una laminatura grossolana. Ultima cosa, un’occhiata al packaging delle confezioni, che sia privo di ammaccature e di apertura, per evitare la proliferazione di farfalle e altri parassiti.

I salumi e gli insaccati

Salumi

Salumi e insaccati sono una voce importante nella ristorazione; il prosciutto, ad esempio, oltre a essere squisito come singola pietanza è fondamentale anche per toast e panini, e quindi particolarmente importante per i bar e i caffè, così come il salame. Inoltre, sta diventando prassi offrire un tagliere di salumi e formaggi anche all’ora dell’aperitivo o come apertura di una cena importante.

I salumi scelti per le proprie forniture dovrebbero essere senza conservanti, ma perché non facciano male alla salute è necessario che le condizioni igieniche di partenza siano le migliori possibili. I conservanti per i salumi, come i nitriti, impediscono la crescita di muffe e batteri ma possono trasformarsi in nitrosammine cancerogene. Visto che la questione è delicata, è consigliabile rivolgersi a fornitori che possano dimostrare il loro rispetto delle norme igieniche HACCP, Hazard Analysis and Critical Control Points.

I salumi possono dividersi tra grassi, semigrassi e magri. I salumi grassi sono il salame propriamente detto, il cotechino, la pancetta, il guanciale, il lardo, la coppa mentre i magri sono il prosciutto, crudo o cotto, la bresaola, il lombo di maiale.

È molto importante sapere come i salumi di qualità che non appartengono a presidi o non hanno la dop sono difficili da trovare, e soprattutto hanno un gusto molto personale, che spesso può risultare sgradito ai clienti che si aspettano il gusto «piatto» del salume industriale: vanno quindi privilegiati in piatti singoli e non usati, almeno di norma, in preparazioni che di solito prevedono salumi meno “nobili”.

Il consiglio è di trovare piccoli produttori che non usano conservanti per i loro salumi, soprattutto se si trovano nelle vicinanze, in modo da sfruttare sinergie logistiche e ottimizzare la spesa. Ricordate comunque che nel caso di salumi senza conservanti si tratta sempre di carne cruda, con tutto ciò che ne consegue in termini di conservazione.

L’olio

Olio d'oliva

L’olio extravergine d’oliva è un altro fiore all’occhiello della produzione italiana. È un grasso «buono», benefico per l’organismo se usato in quantità non eccessive, ed è quello che dà il miglior risultato ai propri piatti rispetto ai ben più economici olii d’oliva standard e olii di semi.

La soluzione ottimale per il miglior risultato è trovare un fornitore che abbia un frantoio, soprattutto se si vive in una regione con tradizione olivicola (Liguria, Puglia, Toscana e così via). L’assaggio è una componente fondamentale nella scelta e solo potendo fare un tasting direttamente dal produttore si potranno avere le migliori sensazioni, un po’ come per il vino.

Nell’acquistare olio extravergine d’oliva con la grande distribuzione, attenti prima di tutto al prezzo: sotto i sette euro di solito non è italiano, ma nordafricano o spagnolo, di qualità inferiore. La bottiglia dovrà essere il più possibile scura, perché in caso di troppa luce l’olio deperisce a causa della degradazione delle clorofille e, di conseguenza, dell’ossidazione degli acidi grassi. Per questo l’olio va sempre conservato al buio e ben chiuso.

Per essere un vero extravergine, l’olio deve riportare la seguente dicitura: «olio di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici». Tenete presente che indicazioni come «miscela di oli comunitari» o «miscela di oli non comunitari» stanno a indicare olii non italiani, ma greci, spagnoli o nordafricani. Meglio ancora se l’etichetta riporta il nome del frantoio e il luogo di imbottigliamento, che dovrebbe essere lo stesso: in alcuni casi, un olio si può definire di una regione anche se in realtà è stato solo frantoiato in loco con olive arrivate da altre regioni o addirittura Stati.

Attenzione anche alla «scadenza» quando prendete in esame i prodotti dei vari fornitori: in realtà l’olio non scade, ma comincia a perdere le sue caratteristiche dopo tre anni, quindi se la scadenza è troppo vicina state probabilmente acquistando olio dell’anno precedente.

L’olio di semi non va comunque sottovalutato perché è preferito da molti proprio per il suo gusto meno dominante nelle fritture.