Se la cucina italiana ha un imperatore, questo è senza dubbio il tartufo: il saporitissimo fungo (e non tubero, come spesso viene erroneamente chiamato fraintendendo il suo nome latino, Tuberus) è in grado di esaltare col suo aroma unico anche i piatti più semplici.
Malgrado i prezzi da capogiro a cui possono arrivare le sue quotazioni, la «grattata» in autunno, sui taglierini (i classici tajarin) al burro, sulla battuta di fassona o sull’uovo al tegamino, è davvero un piacere senza pari.
Il rovescio della medaglia? I tartufi, soprattutto quelli bianchi, sono rari e praticamente impossibili da coltivare, per cui anche la loro fornitura non è delle più semplici; va un po’ meglio per i tartufi neri, ma vista la quantità di denaro che di solito viene spesa per acquistare questi preziosissimi ingredienti, è bene stare molto attenti perché la truffa può essere dietro l’angolo.
Tipologie di tartufi
Cerchiamo per prima cosa di mettere un po’ d’ordine nell’affascinante ma complesso mondo dei tartufi: una buona dimestichezza con le tipologie e le specie è la prima arma per controllare al meglio che le proprie forniture siano in regola e non siano invece «miste», magari con esemplari di minor valore.
A differenza degli altri funghi, i tartufi hanno il corpo fruttifero ipogeo, e cioè crescono soltanto sottoterra, a profondità che da pochi centimetri possono arrivare anche oltre il metro e in prossimità soprattutto di querce, lecci, pioppi, tigli e altre latifoglie. I tartufi sono composti all’80% di acqua (ecco perché quando si «secca» scende di peso e diminuisce di qualità, diventando cedevole e gommoso).
L’aroma fortissimo del tartufo si sviluppa solamente quando il fungo è giunto alla giusta maturazione e ha uno scopo ben preciso: attirare gli animali selvatici come il maiale, il cinghiale, la volpe, il tasso e il ghiro affinché possano nutrirsene e spargerne le spore, contribuendo così a perpetuare la specie.
Le specie di tartufi sono molte, circa sessanta, e diffuse in tutto il mondo, ma solo alcune sono davvero pregiate e ideali per la cucina, soprattutto in Italia e in poche altre regioni d’Europa. Oggi soltanto nove specie di tartufo sono considerate commestibili. L’indiscusso campione del genere è il tartufo bianco, o Tuber magnatum, che è diffuso nell’area di Alba e in genere nel Sud Piemonte, ma anche in Abruzzo, nell’Alta Umbria e nella provincia di Pesaro-Urbino (Acqualagna), nelle colline Sanminiatesi in Toscana, nel Molise e, all’estero, soltanto in Istria. I terreni ideali sono quelli argillosi, meglio se lungo corsi d’acqua, e matura da fine estate fino all’inverno.
È una prelibatezza amata da tutti i buongustai, tanto che ogni anno ad Alba si svolge annualmente una rinomata Fiera del Tartufo Bianco che attira migliaia di visitatori e compratori da tutto il mondo. Le dimensioni sono variabili, da pochi centimetri fino a esemplari che superano abbondantemente il chilo.
Al secondo posto, meno costoso ma sempre eccellente, c’è il tartufo nero pregiato o Tuber melanosporum, che cresce in associazione soprattutto con roverella, leccio, carpino nero e nocciolo; predilige terreni sedimentari e ben drenati, come quelli brecciosi e molto calcarei. Matura da dicembre a marzo, è squisito ed è chiamato anche tartufo nero di Norcia e Spoleto (in Francia, tartufo del Périgord).
Dietro questi due grandi protagonisti della cucina italiana vengono tutti gli altri: lo scorzone, o Tuber aestivum, e il quasi identico Tuber uncinatum più altri meno pregiati che spesso possono essere mischiati a quelli di maggior valore da commercianti disonesti: vedremo fra poco come riconoscerli.
Ancora abbastanza ricercato, simile esteriormente al tartufo bianco ma meno pregiato, è il tartufo bianchetto o marzuolo.
Un’ultima curiosità riguarda la cosiddette «terfezie», o tartufi del deserto, che sono endemici delle zone aride o semiaride della regione del Mediterraneo, nel Nord Africa e nel Medio Oriente: vengono spesso usati nella cucina dei Paesi in queste regioni e (come sovente si sente dire anche per i tartufi nostrani) una credenza popolare vuole che crescano soltanto in quei luoghi dove ha colpito il fulmine durante un temporale nelle sabbie del deserto.
La coltivazione del tartufo bianco pregiato
I prezzi elevatissimi del tartufo bianco – svariate migliaia di euro al chilo – fanno spesso strabuzzare gli occhi ai non intenditori, che non si capacitano di come possa costare così tanto un semplice fungo, per di qualità eccellente.
I tartufi sono, in prima battuta, piuttosto rari, almeno di fronte all’elevatissima domanda da parte dei ristoranti di alta cucina o dei semplici appassionati.
La coltivazione del tartufo, anche nota come tartuficoltura, è considerata quasi come una «pietra filosofale» dai biologi: la tartufaia coltivata, cioè il terreno appositamente preparato per far crescere il tartufo (e quindi calcareo e povero di humus, areato ma non troppo permeabile, povero di azoto e di fosforo e invece ricco di potassio), ha dato buoni risultati per i tartufi neri e quelli meno pregiati, ma per il tartufo bianco purtroppo i risultati sono stati finora molto deludenti. L’alternativa è quindi quella della tartufaia controllata, cioè un posto dove i tartufi crescono di solito naturalmente che viene «migliorata» con apposite pratiche colturali e la messa a dimora di piante arboree tartufigene. Le migliori piante da tartufo bianco sono la quercia, il pioppo nero e bianco, il carpino nero, il nocciolo, il tiglio, la farnia, il cerro, il rovere, la roverella, il pioppo carolina, il pioppo tremulo, il salicone, il salice bianco.
L’unico modo per procurarsi i tartufi bianchi con sicurezza è dunque quello tradizionale: la ricerca con i cani e maiali. L’unico problema con questi ultimi è che sono (comprensibilmente!) molto ghiotti di questo tipo di funghi ed è difficile trattenerli dal divorarli, una volta trovati; perciò oggi in Italia si usa il fiuto dei cani addestrati (il maiale è vietato anche per i danni che causa all’ambiente), senza particolari preferenze per la razza, a parte il lagotto romagnolo che è noto in tutto il mondo per il suo olfatto eccezionale, è un provetto scavatore ed è l’unica razza specializzata per la cerca al tartufo. In Francia, invece, i maiali sono ancora molto usati.
Dove e come procurarsi il tartufo bianco pregiato
Iniziamo col dire che la fornitura di tartufi bianchi pregiati più conveniente in termini di prezzo e di qualità è quella fatta di persona, almeno per le prime volte. Visto l’elevatissimo prezzo di questo ingrediente, è difficile che un ristorante o un’azienda alimentare necessiti di quantità veramente notevoli di tartufi bianchi, e allo stesso tempo la prova con i propri sensi – l’olfatto e il gusto, ma anche la vista e il tatto – è difficilmente sostituibile per scegliere esemplari freschi e col giusto aroma. Inoltre, anche l’occhio vuole la sua parte: la quotazione al grammo sale al salire della pezzatura dell’esemplare, quindi la scelta di persona garantisce un altro vantaggio.
Per chi può farlo, e soprattutto non ritiene di aver bisogno di tartufi per troppi mesi dell’anno, recarsi alle fiere specializzate del settore è un’alternativa da prendere in considerazione: e del resto è proprio così che fanno i migliori chef e gli appassionati. Naturalmente, il discorso cambia per altri tipi di tartufo e per chi, come un’industria conserviera, ha bisogno di quantità molto elevate.
Gli appuntamenti più prestigiosi di ogni anno per il tartufo bianco sono due: la Fiera del Tartufo bianco di Alba e l’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba nel Castello di Grinzane Cavour. Altre fiere di primaria importanza si svolgono in Umbria e Marche (oltre ad Acqualagna, anche Città di Castello e Gubbio), in Toscana, a novembre con la Fiera Nazionale del Tartufo bianco delle Colline Sanminiatesi, e in Molise, nei comuni di Frisolone, Spinete e San Pietro Avellana. In Piemonte, vanno ancora ricordate la Fiera Mostra Mercato del tartufo a Moncalvo in provincia di Asti, la Fiera nazionale del tartufo bianco del Monferrato a Montechiaro d’Asti, la Fiera nazionale del tartufo Trifola d’Or a Murisengo (provincia di Alessandria), la Mostra mercato del Tartufo bianco d’Alba della Regione Piemonte raccolto nelle colline torinesi a Rivalba in provincia di Torino, la Mostra mercato del tartufo a San Sebastiano Curone per quanto riguarda le fiere nazionali; ancora di più quelle regionali, che riguardano città e paesi come Acqui Terme, bergamasco, Canelli, Cortazzone, Mombercelli, Mondovì, Montiglio Monferrato, Odalengo Piccolo, San Damiano d’Asti, Santo Stefano Belbo, Scagnello, Trisobbio, Vezza d’Alba.
Una volta arrivati in Fiera, ci si troverà probabilmente di fronte a una schiera di cercatori di tartufi con i loro prodotti e negozi più strutturati, che trattano in maggiore scala la vendita del prezioso fungo: valutate in base alle vostre esigenze a chi rivolgervi, diffidando di chi non espone chiaramente il prezzo e non ha bilance regolarmente registrate. In entrambi i casi è comunque fondamentale saper scegliere bene, basandosi su alcune linee guida che si possono padroneggiare solo con grande esperienza ma che sono indispensabili per non andare incontro a veri disastri per il portafoglio. L’ideale è avere un parente o un conoscente fidato che sia, come si dice in Piemonte, un trifolau esperto. Una volta che si sarà stabilito un rapporto di fiducia, allora sarà possibile anche astenersi dalla visita di persona.
Prima di tutto, il tartufo bianco ha un diametro che va dai due ai nove centimetri, a parte casi eccezionali il cui prezzo è al di fuori della portata delle tasche comuni, con un esterno globoso, irregolare, vellutato e di color ocra. Dentro, la gleba (cioè la «carne» del tartufo) ha un tipico aspetto marmorizzato, bianco, che se non è freschissimo può tendere al grigio con macchie rossastre. Ma soprattutto è caratteristico l’odore, che dev’essere molto forte e con toni che al profano possono sembrare quasi «di gas» o formaggio fermentato, ma che a un naso esperto portano sentori di aglio, di fieno e di miele.
Esistono altre varietà con caratteristiche leggermente diverse: ad esempio, il tartufo bianco della Toscana ha un colore giallino con tonalità tendenti al verde, fuori è liscio e dentro marrone con sfumature rossastre; il meno pregiato bianchetto rimane gradevole solo per poco, poi le carni diventano scure e l’odore nauseante. È molto ricercato ancora oggi per tradizione nelle zone della Romagna, della Toscane e delle Marche.
Per scegliere bene il tartufo, la prima cosa da fare è… chiudere gli occhi, cioè concentrarsi solo sul vostro olfatto, senza farvi condizionare dall’aspetto del fungo (ce ne sono di eccellenti con un’aria non molto promettente e, viceversa, di bellissimi ma poco profumati). Ricordatevi anzi che la presenza di piccoli buchi, dopo l’esame olfattivo, è di norma considerata un vantaggio, perché vuol dire che è stato scelto dalle lumache, capaci di trovare solo i migliori esemplari.
Annusate e cercate i più aromatici, perché è inutile spendere per un esemplare più grosso ma con poco aroma sprigionato. Al tatto dev’essere sodo e duro, e attenzione: più è soffice, più è vecchio. State solo attenti a non danneggiarlo premendo «troppo». Diffidate di un tartufo troppo leggero per le sue dimensioni, soprattutto se comparato agli altri: anche in questo caso vuol dire che non è fresco, perché contiene poca acqua.
In ultimo, occhio al terriccio. La terra intorno al tartufo è un buon segno, perché significa che il fungo è fresco e comunque ben conservato, ma badate bene: stiamo parlando di grammi, e la terra pesa. Attenzione, perciò, che non ci siano venditori poco onesti che cerchino di far pagare anche la terra intorno.
Nelle maggiori fiere, come quella di Alba, è spesso presente una «commissione di qualità» che gratuitamente per i visitatori e i compratori si occupa di valutare le caratteristiche dei funghi acquistati o che si è in procinto di acquistare. In ogni caso, è sempre bene che il prezzo e le specie di tartufo siano esposti in modo ben chiaro.
Per quanto riguarda i ristoranti, chi offre tartufo bianco d’Alba deve sapere alcune regole: deve esporre il prezzo in modo chiaro, effettuare la grattata direttamente sul piatto servito al tavolo e non in cucina, e deve poter permettere al cliente, se lo desidera, di grattare un tartufo non acquistato al ristorante.
Dove e come procurarsi il tartufo nero pregiato
È vero che il tartufo nero costa un po’ di meno, ma le insidie non sono minori. Il tartufo nero pregiato o tartufo nero di Norcia, è ben diverso da un banale scorzone o, peggio, da tartufi neri di scarso pregio come quello di Bagnoli, ma all’occhio inesperto possono sembrare non dissimili, soprattutto per il colore. Il tartufo nero ha un aspetto abbastanza omogeneo e tondeggiante, con verruche poligonali. Se sfregata, la superficie del tartufo assume sfumature color ruggine. Cresce soprattutto dove l’erba è molto rada sotto l’albero. La gleba ha un bel colore uniforme.
Il tartufo estivo o scorzone, invece, è di solito più grosso, ma da fuori è molto simile a un tartufo nero pregiato: per distinguerli è necessario tagliarli, perché la gleba non è scura ma tende piuttosto al giallo scuro. Cresce nei terreni sia argillosi che sabbiosi e vale in genere circa un quarto o un quinto, a livello di quotazione, rispetto al tartufo nero pregiato.
Il tartufo nero invernale, o Tuber brumale, vale circa la metà del tartufo nero pregiato e ha un caratteristico odore di noce moscata. Si distingue dal suo «parente» per la gleba che è scura con venature bianche. È nota anche la cosiddetta variante Moscato, con un aroma deciso che ricorda il muschio, molto particolare e anch’essa apprezzata da un certo numero di intenditori.
Più facile ancora distinguere il tartufo nero liscio, che per l’appunto ha una superficie dove le verruche sono molto piccole e quasi assenti; è poco conosciuto ma non mancano i suoi appassionati.
A differenza del tartufo bianco d’Alba, il tartufo nero non viene venduto quasi solo fresco, ma – anche per il prezzo minore al grammo – esistono molti modi in cui è possibile commercializzarlo e richiederlo per una fornitura, di certo più semplici per lo stoccaggio in caso di grandi quantità. Inoltre, in genere ha una maggiore resistenza alla cottura (a differenza del tartufo bianco che va consumato solo rigorosamente crudo) e una conservazione più semplice. Infine, la presenza di vari tipi di tartufi neri più o meno in tutti i periodi dell’anno consente di poterlo usare in cucina con una certa regolarità, basta sempre tenere presente che d’estate si avrà solo il poco pregiato scorzone.
È molto diffuso, soprattutto per le categorie meno pregiate, il vasetto, in vaso con un liquido di governo che in genere è a base di acqua e sale; in puré, ideale per crostini, per condire la pasta o il riso e sui arrosti e carne o pesce alla griglia; già tagliato a fette, per poter essere immediatamente utilizzato per insaporire i piatti senza bisogno dell’affettatartufi. In più esistono le particolari preparazioni regionali, come la salsa tartufata, tipica umbra, a base di altri funghi, tartufo e olio, o una salsa con aceto balsamico, tartufo e miele. Esistono poi i prodotti derivati.
I prodotti derivati
Quando si parla di tartufo in cucina, non si intende (soltanto) il fungo vero e proprio, pronto per essere grattato sulla pietanza da consumare. Posto che il tartufo fresco sarà sempre la soluzione migliore e più genuina, esiste una grande quantità di prodotti che sono derivati dal tartufo e che, con poca spesa, possono rendere più piacevole un pasto e aiutare in particolari preparazioni. Questi prodotti possono aiutare anche nel caso in cui a ristoranti e ad hotel sia richiesto fuori stagione il tartufo, senza deludere il cliente. Ma attenzione, occhio ai surrogati.
L’olio, per esempio. L’olio al tartufo è molto diffuso: boccette trasparenti con olio d’oliva extravergine dove si vede anche un frammento di tartufo, di solito bianco. È necessario però leggere la lista degli ingredienti, perché se ci si trova in presenza di non meglio specificati «aromi» vuol dire che il profumo del tartufo è dato con tutta probabilità da qualche intruglio chimico, che può ingannare i nasi meno sofisticati ma che alla prova dell’esperto viene immediatamente smascherato. Il processo di produzione dell’olio al tartufo è infatti molto complesso, e l’aroma viene quindi ricreato perlopiù con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano. Tutto bene invece se sull’etichetta troviamo scritto «aroma naturale» o «aromi naturali».
Questo discorso vale per tutti i prodotti derivati, come il miele al tartufo. Naturalmente, se le aspettative non sono eccessive e si vuol spendere poco, alcune di queste preparazioni possono essere tranquillamente scelte, basta che non ci siano i suddetti aromi industriali. Se si ha la possibilità è comunque meglio scegliere prodotti freschi, come il burro al tartufo per i taglierini, sovente con scaglie autentiche di tartufo (lo riconoscerete dal prezzo). La regola rimane comunque una e molto semplice: se costa molto poco, non è tartufo bianco e nemmeno tartufo nero pregiato; è buona regola controllare che in etichetta ci sia sempre scritto nell’elenco degli ingredienti la tipologia di tartufo, e conoscere i nomi latini delle specie per evitare di vedersi spacciare come «tartufo nero di Norcia» uno scorzone raccolto in quella zona.
Tra le altre proposte dei fornitori, molto spesso si trovano creme tartufate di vario tipo, sovente in abbinamento con porcini o altri prodotti tipici italiani (come il pistacchio di Bronte), pasta aromatizzata al tartufo, salame, polenta, riso e formaggio al tartufo, e perfino le peschette al tartufo, specialità abruzzese che prevede la raccolta di pesche verdi nane, in un bagno d’olio e aceto, da aromatizzare con tartufo.
Questi sono spesso i metodi più convenienti per poter preparare piatti all’aroma di tartufo anche fuori stagione, a patto però che non ci siano conservanti naturali (diffidate di creme che durano addirittura per anni, perché di certo il tartufo non l’hanno nemmeno visto).
La conservazione
In genere, prima si consuma il tartufo una volta raccolto dalla terra meglio è. Il tartufo fresco appena acquistato, se non può essere mangiato subito, va avvolto in tovaglioli di panno o carta e conservato in frigo, nella parte meno fredda, tra i 3 e i 6 gradi centigradi e sostituendo i tovaglioli ogni giorno. L’ideale sarebbe lasciarlo libero di respirare, ma per evitare che qualsiasi cosa lasciata nel frigorifero assorba l’aroma del tartufo (ad esempio il latte, il burro, le uova riposte nelle vicinanze) è possibile conservarlo dentro un barattolo chiuso ermeticamente, ma in questo caso, per il bianco, è bene cambiare tovaglioli o panno almeno due volte al giorno. Nei mesi invernali o pre-invernali, se si abita in una zona fredda o temperata, è possibile tenere semplicemente il tartufo fuori sul davanzale, avendo cura che non sia esposto ai raggi del sole.
L’importante comunque è consumarlo il più presto possibile, e assolutamente prima che cominci a diventare troppo gommoso e cedevole: massimo cinque o sei giorni per il tartufo bianco, fino a una decina per il nero. Per pulirlo basta spazzolarlo leggermente per levare la terra, assolutamente senza usare l’acqua e appena prima di consumarlo. Non è consigliato un metodo di conservazione tradizionale come quello nel riso, che invece lo secca e accelera il processo di perdita dell’acqua. C’è chi lo fa per aromatizzare il riso per il risotto, ed è possibile, ma in questo caso il tartufo va tolto e consumato al massimo entro il terzo o quarto giorno, mentre il riso conserverà il suo aroma ancora per qualche tempo.
È possibile surgelare i tartufi? Assolutamente no per il bianco, che è molto delicato; con qualche accorgimento sì per il nero, più robusto e con una più forte, anche se meno pregiata, aromaticità, soprattutto se trattato in varie lavorazioni. Il tartufo bianco non deve neanche essere messo nell’olio, perché fermenta, né in salamoia, perché perde profumo e sapore.
In genere, il tartufo nero si presta a un numero superiore di lavorazioni, anche perché sopporta (a differenza del bianco, che va assolutamente consumato crudo) passaggi in padella. È molto facile ad esempio fare delle creme frullandoli con sale e olio d’oliva. Il bianchetto, infine, si conserva crudo come il bianco per 5-6 giorni, cotto scottato in olio e in barattolini di vetro fatti bollire una quindicina di minuti.
Una soluzione classica è ancora quella del burro: tagliare a scaglie il tartufo, anche bianco, e amalgamarlo con del burro di prima qualità, che lo aiuterà nella conservazione. Poi lo si può surgelare o consumare direttamente.
Le aziende fornitrici
In alternativa, se non si ha la possibilità di recarsi di persona a saggiare le qualità del tartufo che si intende acquistare, è possibile rivolgersi ad aziende professioniste del settore, con standard di qualità via via sempre più alti, che mettono a disposizione i loro «pezzi pregiati» in determinati periodi dell’anno. È infatti indispensabile che il fornitore preveda per ogni tipo di tartufo diversi e ben delimitati periodi per la vendita: in genere, da ottobre a dicembre per il bianco, da novembre a marzo per il nero pregiato, da gennaio ad aprile per il bianchetto, da giugno ad agosto per il tartufo nero estivo o scorzone.
L’ideale è rivolgersi a quelle ditte che dichiarano di essere esse stesse composte in tutto o in parte da raccoglitori di tartufi e che quindi non si rivolgono ad intermediari; queste infatti possono dare al cliente la garanzia di fornire il prezioso fungo entro quarantotto ore dalla sua raccolta o anche meno, requisito indispensabile considerando che un tartufo bianco può resistere solo per pochi giorni. Sarà bene controllare anche l’imballaggio, per evitare possibili deterioramenti; quindi, contenitori isotermici con ghiaccio o sottovuoto. Di solito, le aziende non fanno pagare esattamente il peso al grammo, ma aggiungono qualche grammo in più per sopperire al naturale calo di peso a cui è soggetto il tartufo mentre perde l’acqua.
Un altro buon modo per rendersi conto se una società per la fornitura del tartufo è davvero seria è… l’indisponibilità in alcuni casi: chi ha sempre il tartufo pronto, ogni singolo giorno, è possibile che spedisca anche qualche esemplare non proprio perfetto per non scontentare il cliente.
Fra le opzioni più gradite che possono essere offerte ai clienti, figura sicuramente anche un aggiornamento tramite newsletter, email o altri mezzi della «borsa del tartufo», cioè delle quotazioni per il giorno corrente, che variano spesso anche sensibilmente.
Gli accessori
Va da sé che un prodotto pregiato come il tartufo non possa essere «maltrattato» da accessori di scarso pregio. Indispensabile è infatti l’affettatartufi, di solito in legno o in acciaio, che deve avere una lama molto tagliente e soprattutto la possibilità di regolarla in modo da tagliare fettine sottilissime. Se il tartufo è buono, infatti, è bene cercare di massimizzare l’aroma che può produrre affettandolo nel maggior numero di fette il più possibile ampie.
È necessario anche procurarsi una bilancia di precisione per pesare i tartufi, o ancor meglio due, una di dimensioni più grandi e una «pocket»; in questo modo un ristorante potrà anche evitare contestazioni, che non sono certo una novità quando è in campo il «diamante della cucina». Le bilance infatti devono essere professionali e regolarmente registrate.
Per chi tenta poi la ricerca personale, c’è un folto gruppo di apparecchi di cui bisogna essere sempre dotati per una buona «caccia». I vanghetti e gli zappini per scavare il terreno, i navigatori gps e le mappe della zona nella quale ci si trova a operare, senza contare tutti quegli oggetti che sono legati al cane, dalle cucce alla museruola.
La raccolta dei tartufi
Se i prezzi sono troppo elevati, non si riesce a trovare un’azienda fornitrice davvero competitiva o affidabile o se semplicemente si vuole essere davvero sicuri al 100% della genuinità dei propri prodotti, l’alternativa è quella dell’«auto-fornitura», e cioè della raccolta di tartufi fatta in prima persona: arte non facile, che richiede parecchia esperienza e soprattutto la possibilità di attingere a quel bagaglio di tecniche e trucchi che soltanto un «trifulau» esperto è in grado di insegnare.
Per prima cosa, le tartufaie sono custodite gelosamente come segrete dai loro scopritori, ancora più che le zone dove si possono trovare funghi epigei pregiati come il porcino o l’ovulo. Addirittura, in Piemonte le tartufaie del bianco si tramandano da parente a parente quasi come fossero un’eredità.
Ovviamente, la ricerca del tartufo non può prescindere dal cane: in questo caso la cosa migliore è affidarsi a degli addestratori professionisti, perché l’addestramento da autodidatta è estremamente difficile e richiede conoscenze minime non banali da parte del padrone nel cane per insegnare al meglio i comandi più comuni. Nella legislazione vigente, va ricordato che i cani non possono effettuare direttamente il riporto, ma indicheranno il luogo dove hanno fiutato il tartufo per poi far effettuare al padrone il dissotterramento. A Roddi, a poca distanza da Alba, oltre 130 anni fa è nata la prima e unica università per i cani da tartufo.
Per quanto riguarda le razze, ad eccezione del lagotto romagnolo non ne esistono di particolarmente vocate per la cerca al tartufo: tutte godono di un olfatto eccezionale, e vista la grande pregnanza del tartufo più o meno tutte, se adatte alla cerca in genere, possono essere considerate come potenzialmente utilizzabili. Di solito sono molto efficienti i bastardini di piccola taglia, magari figli di altri bravi cercatori. Un buon cane da tartufi è in grado di sentire la presenza di un tartufo anche a grande distanza e perfino a più di cinquanta centimetri sottoterrra.
È necessario poi non abitare lontano dai boschi e dalle possibili tartufaie, perché i problemi logistici, altrimenti, potrebbero essere davvero insormontabili. I chilometri di strada non fanno bene né a noi né al cane e limitano le fasce orarie in cui si può provvedere alla cerca.
Indispensabile anche un buon addestramento teorico e pratico a proposito dell’ecologia del bosco: è essenziale infatti saper riconoscere le piante più vocate alla simbiosi con il tartufo, nonché tutti quei dettagli che possono rivelare la presenza di un ecosistema favorevole. Bisogna possedere anche buone conoscenze nell’orientamento nei boschi e nelle zone di campagna, anche se oggi la tecnologia, tra smartphone e navigatori satellitari, ci permette più o meno sempre di sapere dove ci troviamo ed è anzi indispensabile come corredo; non bisogna però commettere l’errore di dipendere totalmente da questi strumenti, perché una batteria scarica o una zona di «buio» non raggiunta dal segnale telefonico o del gps ci possono mettere in grossi guai. Allo stesso modo, va monitorato con attenzione il susseguirsi delle piogge durante la stagione.
Un tartufaio attento è in grado di identificare quelli che sono i segni inequivocabili della presenza del tartufo. Un esempio classico sono i pianelli o «bruciate» per il tartufo nero, quelle distese quasi senza vegetazione intorno agli alberi vocati come i carpini che stanno a indicare nel terreno la possibilità di sostanze allelochimiche, prodotte da alcune specie di tartufi per impedire la germinazione di piante erbacee. Attenzione però, perché alcune piante com il carpino sono in grado di creare dei «falsi pianelli» che possono ingannare l’occhio.
Infine è bene anche conoscere quelli che sono i parassiti più diffusi del tartufo (tra i quali la mosca) e soprattutto avere ben presente le particolarità legislative nazionali e regionali per la cerca del tartufo. La raccolta dei tartufi è libera nei boschi, nei terreni non coltivati e lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua classificati pubblici; la raccolta, però, può essere effettuata solo se si possiede il tesserino di autorizzazione che viene rilasciato dalla Provincia dove il tartufaio ha la residenza anagrafica. Il tesserino per la ricerca e la raccolta del tartufo ha una validità di sei anni e permette la raccolta del tartufo sull’intero territorio nazionale nel rispetto dei periodi, orari, divieti e modalità stabiliti dalle leggi nazionali e locali. Per conseguire il tesserino è necessario sostenere e superare un esame di idoneità che si articola in una prova scritta da sostenersi di fronte a un’apposita commissione. La sessione d’esame si tiene una volta all’anno. Al fine di facilitare gli aspiranti cercatori, tutti gli esami sono preceduti da lezioni tenute da esperti del settore. La partecipazione al corso di preparazione all’esame è gratuita e facoltativa.
Gli esami di idoneità vertono sugli aspetti botanici del tartufo (biologia e ambiente, riconoscimento delle specie destinate al consumo, caratteristiche organolettiche), sulla modalità di raccolta dei tartufi (con nozioni teorico-pratiche) e sul tartufaio e le leggi in materia (calendario di raccolta, diritti e doveri, limitazioni a livello locale, sorveglianza e sanzioni).
La Regione Piemonte dal 2013 ha previsto anche la possibilità di permessi giornalieri per i turisti.
Altre cose da tenere a mente sono il divieto di commercializzare tartufi immaturi o non appartenenti alle nove specie classiche (e cioè tartufo bianco pregiato, tartufo nero pregiato, tartufo moscato, scorzone, tartufo uncinato, tartufo nero invernale, bianchetto, tartufo nero liscio e tartufo di Bagnoli); il permesso di raccolta nelle tartufaie “coltivate” ed in quelle “controllate” che compete ai titolari della loro conduzione, se debitamente autorizzate, delimitate e segnalate; il divieto di raccolta tramite zappatura, sarchiatura ed aratura o con il maiale.